MAI DIRE KITSCH.
“Il diversamente bello”
A cura di Renato Corsini

Dal 20 gennaio al 10 marzo 2024

Inaugurazione, sabato 20 gennaio, ore 17,30 – Sala Danze
Biglietto d’ingresso: intero 5 euro, ridotto 4 euro

Il giorno dell’inaugurazione l’ingresso alla mostra sarà gratuito

Riconoscere il kitsch con una valutazione soggettiva è un’operazione abbastanza facile e quasi istintiva; definirlo oggettivamente nei suoi confini, delimitarne le caratteristiche e catalogarlo con evidenti segni di appartenenza diventa un’operazione ben più complessa.
Lo è perché i valori culturali che dovrebbero indicare la differenza tra ciò che è bello e ciò che è brutto, sono ormai diventati un esercizio logoro, dal momento che il brutto non è più il contrario del bello, ma si è piuttosto tramutato nell’esemplificazione di differenze culturali e distinzioni sociali.
Esiste tuttavia anche un’estetica del “brutto” e, se il kitsch può costituirne un linguaggio autonomo, allora merita il diritto di cittadinanza tra le espressioni artistiche, come frutto di un processo che non tiene conto di valenze legate al “bello”.
D’altra parte assistiamo al fatto che l’attributo del bello non viene più neanche preso come indispensabile nell’arte contemporanea. La bellezza estetica, il valore compositivo o le ricerche cromatiche sono prerogative di protagonismi creativi ormai lontani, testimoni di una storia dell’arte che appartiene al passato, anche recente.
Solamente attraverso la sua musealizzazione, il kitsch può esibire il suo percorso sulla presunta banalità del gusto e può esporre oggetti che rielaborano la propria identità trasformando il dilettantismo in una forma di liberazione della fantasia.
Allora il kitsch non è più un surrogato culturale o una sottocultura dell’oggetto come una certa critica contemporanea ha elaborato e sviluppato contrabbandandolo come disvalore estetico, bensì diventa un linguaggio alternativo.
Il cattivo gusto non esiste quando il problema del gusto non si pone: lo vediamo quotidianamente nei messaggi pubblicitari, nei comportamenti sociali, nell’abbigliamento e nella televisione dove non è più possibile distinguere il vero dal falso, il raffinato dal volgare, l’autentico dal contraffatto e quando tutto diventa massificazione del banale.
In politica il kitsch diventa esperienza comunicativa di massa; la validità del messaggio è subordinata alla sua capacità di coinvolgere il maggior numero possibile di utenti.
Nel mondo dell’architettura il kitsch prende in prestito oggetti, monumenti storici e simboli sociali per proporli fuori scala e fuori luogo con la pretesa di stupire.
Assolti i nanetti da giardino, i gadget turistici della Torre di Pisa e le gondole con carillon di Venezia, ormai divenuti icone in via d’estinzione perché sempre più privi di bacino d’utenza popolar-turistica, la loro fonte d’ispirazione, il kitsch appunto, si sta trasformando nel linguaggio del nostro tempo: ne sono testimonianza gli emoticon del cellulare, i villaggi turistici con le persone accessoriate di ghirlande a Honolulu, le performance di certi gruppi rock, alcuni interventi di chirurgia estetica o gli improbabili  ciuffi di capelli sulla fronte di politici internazionali.