“Dopo Frank, il fotografo sa che i momenti significativi non esistono, che i significati ce li mettiamo noi, e che sorte della fotografia non è saper sorprendere un mondo in flagrante reato di concordare con le nostre idee, ma vederlo così com’è in sé, assurdo. Un mondo che preesiste al pensiero e al significato… Alle fotografie ‘chiuse’ (per usare un’espressione di Robert Doisneau), succedono fotografie “aperte”, aperte a tutti i significati possibili, compreso quello di non averne.” (Jean-Claude Lemagny, 1986)
“Qui, veramente, la fotografia supera se stessa: non è forse questa la sola prova della sua arte? Annullarsi come medium, non essere più un segno, bensì la cosa stessa?” (Roland Barthes, La camera chiara, 1980)
“Assegnando alla fotografia un brevetto di realismo, la società non fa nient’altro che confermare se stessa nella certezza tautologica che un’immagine del reale conforme alla propria rappresentazione dell’obbiettività è veramente obiettiva.” (Pierre Bourdieu, La fotografia. Usi e funzioni sociali di un’arte media, 1965)
“Il compito di una pratica fotografica alternativa è di incorporare la fotografia nella memoria sociale e politica, invece di usarla come un sostituto che ne incoraggia l’atrofia.” (John Berger, Sul guardare, 1980)
Nello spettacolo… il mondo sensibile è stato sostituito da una selezione di immagini che esiste al di sopra di esso, e che nello stesso tempo si è fatta riconoscere come il sensibile per eccellenza. (Guy Debord, La società dello spettacolo, 1967)