Luisa Menazzi Moretti
Ten Years and Eighty-Seven Days
Un progetto fotografico ispirato dalle lettere ed interviste dei carcerati nel braccio della morte in Texas, Stati Uniti d’America
Dal 25 novembre al 24 dicembre

Inaugurazione: sabato 25 novembre, ore 17.00

… Non ferirti in me, sarà inutile, non ferir me, perché ti ferisci. (Pablo Neruda, Il Pozzo)

Ho vissuto in Texas per molti anni e ancora oggi soggiorno per lunghi periodi in una località a quaranta miglia da Huntsville, la cittadina conosciuta per il braccio della morte. Ho letto alcune delle lettere e delle interviste che i condannati a morte hanno scritto o rilasciato nel carcere di Livingston nella Polusky Unit, dove sono stati trasferiti, sempre vicino a Huntsville. Il mio non vuole essere un lavoro fotografico di reportage: sono state le loro parole, pensate nella solitudine delle celle, a creare le immagini. Non ho voluto parlare tanto di morte, quanto della loro vita nell’isolamento. Mi sono limitata a testi scritti da carcerati texani, non per familiarità, ma perché lo Stato del Texas detiene un triste primato; è lì che si registra il maggior numero assoluto di esecuzioni non solo negli Stati Uniti d’America, ma anche nelle nazioni democratiche del mondo occidentale.

Dopo un’attesa che dura in media dieci anni e ottantasette giorni, titolo questo, Ten Years and Eighty-Seven Days, che ho scelto per il lavoro, i condannati vengono giustiziati. Vivono tutto questo periodo in solitudine, in contatto con il mondo solo attraverso una radiolina da tavolo, dei libri e gli atti legali che li riguardano. Questi pochi privilegi li ricevono esclusivamente se si attengono con buona condotta a tutte le regole di vita carceraria prestabilite. Passano 3.737 giorni in media così, talvolta più di 20 anni, non sempre e indubitabilmente colpevoli.

Le mie immagini sono il frutto delle loro parole: le ho scattate pensando anche a chi è restato, ai familiari di chi è stato giustiziato. Non mi sottraggo alla consapevolezza dell’efferatezza spesso incontestabile del crimine, così come d’altro canto, constato a volte l’assenza di crudeltà e premeditazione. In ambedue i casi e così anche in tutte le innumerevoli sfumature di ogni singolo episodio, mi chiedo: su quali sentimenti e ragioni si regge nel XXI secolo, nel ricco ed evoluto Texas, la pratica così arcaica dell’esecuzione?

Sono moltissime le nazioni in cui vige questa condanna definitiva e barbara. Tuttavia, il Texas è uno Stato democratico, fa parte di una confederazione di Stati di un Paese che si propone quale modello di democrazia liberale, di difesa e rispetto dei diritti umani: la condanna a morte non dovrebbe solo non essere tollerata, ma neppure contemplata. Ogni cittadino dovrebbe sentirsi non rappresentato da uno Stato che usa il suo potere per uccidere un essere umano, colpevole o innocente che sia.

Luisa Menazzi Moretti