Il Vittoriale delle italiane
A cura di Renato Corsini

Fondazione Il Vittoriale degli Italiani
Via del Vittoriale 12 – 25083 – Gardone Riviera (BS)
Dal 25 maggio al 30 settembre 2024

Una mostra fotografica al femminile, ideata e curata da Renato Corsini, direttore artistico del Brescia Photo Festival, che intende coniugare la fotografia al femminile con il mito del Vate. Dieci le artiste coinvolte – Maria Vittoria Backhaus, Mariagrazia Beruffi, Patrizia Bonanzinga, Giusy Calia, Silvia Camporesi, Alessandra Chemollo, Caterina Matricardi, Antonella Monzoni, Luisa Menazzi Moretti e Ramona Zordini – tra le fotografe italiane più talentuose e affermate che sono state invitate a realizzare un lavoro dedicato all’interno e all’esterno della struttura museale di Gardone, con lo scopo di interpretare, ognuna con il proprio stile, tutte le tematiche dannunziane.

Leggi l’articolo di Giusy Randazzo su Gente di fotografia – n. 83

Maria Vittoria Backhaus

Nell’enorme quantità di oggetti, immagini, personaggi, stimoli e visioni che è il Vittoriale, ho cercato, con le mie fotografie, di rappresentare Gabriele D’Annunzio per quello che per me è sempre stato, un personaggio pop-punk.
Penso che oggi potrebbe essere un grande protagonista dei social.

Mariagrazia Beruffi

Mute sentinelle
Escono dalla cupa penombra quando un raggio di luce le illumina tra i neri cipressi o si insinua fra le tende e gli scuri della Prioria.
Testimoni di una straordinaria energia che, un secolo fa, con passione, sesso e poesia, animava le ” pietre vive”, ora, solo grazie a quel riflesso effimero, prendono vita, pur sempre immerse in un silenzio eterno che tutto copre ma non dimentica.

Patrizia Bonanzinga

Verità Oniriche
Le mie fotografie, sovrapposizioni e interazioni di punti di vista e visioni, sono la rappresentazione di un sogno, quello di Gabriele D’Annunzio che, nella concretezza della pietra e del paesaggio, diventa via via realtà, quindi verità. È il sogno il motore che muove il desiderio di perfezionamento del poeta nel creare il Vittoriale degli Italiani. Come una Santa Fabbrica, il vate non ne vide la sua ultima realizzazione. In questo luogo denso di storia, ambizione e sconfitta, le realtà e i sogni si fondono diventando un’unica cosa: verità oniriche.

Giusy Calia

Esplorando il Sublime: La Casa di D’Annunzio e l’Essenza dell’Estetica

“Ho fatto di tutto me la mia casa; e l’amo in ogni parte.
Se nel mio linguaggio la interrogo, ella mi risponde nel mio linguaggio.”
G. d’Annunzio, Libro Segreto

Nel vasto paesaggio della mente umana, la dimora di D’Annunzio emerge come un nodo intricato di riflessioni estetiche e psicologiche, sospeso tra la terra e il cielo. La prospettiva aerea, offerta dal drone, svela non solo i contorni fisici della residenza, ma anche le profondità dell’animo dell’autore, con le sue contraddizioni e le sue passioni inestricabilmente intrecciate.
All’interno di queste mura cariche di storia, le stanze diventano i teatri di una performance multidimensionale, dove l’arte e la psiche si mescolano in un intricato balletto. I mobili sontuosi e le opere d’arte fungono da specchi delle passioni umane, riflettendo non solo l’estasi estetica del poeta, ma anche le ombre della solitudine e dell’ossessione.
In questa dimora, il concetto di bellezza si manifesta come una forza primordiale, capace di elevare e tormentare l’anima umana. Attraverso lo sguardo del drone e la prospettiva interna, ci troviamo di fronte a un microcosmo della condizione umana, dove la realtà e l’immaginazione si fondono in un continuum infinito di significato ed esperienza.

Silvia Camporesi

Ho dedicato il mio interesse all’esterno del Vittoriale, al contesto in cui è immerso, cercando l’aspetto paesaggistico del luogo. Il risultato sono tre fotografie in cui è evidente il dialogo con la natura. La prima immagine è una vista dall’alto, un paesaggio della grande nave immersa nella vegetazione, a ridosso del lago; la seconda è la veduta del panorama lacustre inquadrato da una delle finestre ad arco nel portico della casa di D’Annunzio, mentre la terza immagine è una vista della strada d’ingresso, in cui i muri sono ricoperti di vegetazione fitta. In continuità con il mio lavoro sul paesaggio italiano, non compaiono figure umane e ricorre il tentativo di restituire un’immagine sospesa e ferma dei luoghi individuati.

Antonella Chemollo

La mia casa fotografica parlante

Ogni luogo è teatro degli umani che lo attraversano.
La natura di un luogo può cambiare l’andatura delle persone, così come l’attitudine delle persone può cambiare la percezione dei luoghi.
Se il luogo, poi, è una materializzazione in pietra di parole e simboli, l’interazione tra le figure di chi passa e di chi resta può dare vita a un significato nuovo nella narrazione che si è fatta pietra.
E la fotografia, che tutto congela, aiuta in questo gioco.

Caterina Matricardi

La descrizione dei lavori (Gabriele, San Sebastiano, donna)

Avendo un particolare interesse per le statue e i busti, mi sono concentrata sui volti.
Il reticolo del Tempo e della Storia (tremulo, diafano, ma inesorabile) imprigiona e pietrifica i volti (tutti i volti, anche i più diversi) nello sguardo silenzioso del Passato: un Passato che coniuga effimero con eternità, quindi fuggevolezza con immoto presente.
I tasselli quadrati strappati sono solo una mia creazione artistica spontanea.
La fotografia per me è solo un mezzo, mi interessa anche la parte grafica, (foto+grafica).
Spesso i miei lavori non sono solo fotografici ma anche grafici.

Luisa Menazzi Moretti

Ricordo, rivedo
Serie di fotografie di luoghi, particolari del parco, isolate nei colori giallo e rosso del Vittoriale e accompagnate da testi tratti dal Libro segreto di D’Annunzio. L’ultima fotografia del progetto dà voce alle testimonianze post-mortem di donne e muse importanti nella vita del vate, finalmente consapevoli e liberatesi del ruolo.

Antonella Monzoni

Le Signore del Vittoriale

Quattro le presenze femminili che circondarono Gabriele d’Annunzio al Vittoriale fino alla sua morte, lo accudirono, lo spiarono, se lo contesero: Amélie Mazoyer, la governante conosciuta in Francia, ribattezzata dal Vate «Aélis». La sua stanza si trova nella Clausura, accanto alla foresteria per le amanti di passaggio che spesso arruolava lei stessa e al piccolo appartamento, con bagno in comune, di Luisa Baccara, pianista, l’amante ufficiale che col tempo si trovò messa da parte.
Poi Maria Hardouin dei Duchi di Gallese, la moglie da cui il Poeta non ha mai divorziato e che quando era ospite al Vittoriale alloggiava a Villa Mirabella, a 200 metri dalla Prioria.
Albina Lucarelli Becevello, la cuoca del Vittoriale, ribattezzata «Suor Albina» o «Suor Intingola» o «Suor Ghiottizia» che nutrì e coccolò D’Annunzio fino al giorno della sua morte, il 1° marzo 1938.
Ho cercato tracce di queste donne nelle loro stanze, negli oggetti e negli arredi che riportano alla loro esistenza, nel tentativo di raccontare un universo femminile ricco di memorie, di silenzi, di rimorsi e rimpianti, senza tradirlo.

Ramona Zordini

Eleonora Duse e Gabriele D’Annunzio ebbero una tormentata relazione tra il 1895 e il 1904, forse la più famosa ed importante relazione amorosa del vate sopratutto per la connessione artistica tra i due.
Lei non venne mai a far visita al Vittoriale, così ho scelto di aprire una finestra sulla possibilità immaginaria che questo fatto sia accaduto.
Dialogo immaginario:
-“E se un giorno d’estate tu entrassi da quella porta facendomi dono della tua presenza qui? Non sarebbe forse un giorno gioioso? E se mi sorridessi ed io ti sorridessi?”
-“Non è accaduto.”
-“Ciò che non è stato può essere immaginato e se posso immaginarlo esiste da qualche parte!”
-“Che bel giorno è stato quando sono entrata da quella porta..Sorridevo e tu ricambiasti!”
-“Ricordo.”

Le fotografe

Maria Vittoria Backhaus (Milano, 1942) studia scenografia all’Accademia di Belle Arti di Brera; in quegli anni frequenta il leggendario Bar Jamaica, centro focale della scena artistica milanese, affollato tra gli altri da fotografi quali Ugo Mulas, Alfa Castaldi e Mario Dondero. Inizia la sua carriera nella seconda metà degli anni Sessanta come fotoreporter di eventi culturali, politici e musicali della scena beat. Le difficoltà incontrate come fotografa donna nel mondo dell’informazione, la spingono però in un’altra direzione. Nei primi anni ’80 inizia a collaborare con L’Uomo Vogue e Casa Vogue e da allora si specializza nello still life, nella fotografia di moda e di design, sviluppando fin da subito uno stile originale e trasgressivo, avvicinandosi al mondo della moda con sguardo ironico e critico: la fotografia per Maria Vittoria è un mezzo per documentare il reale e la moda l’esaltazione del superfluo.
Talento, sicurezza di gusto, perizia di luci e un’inesauribile creatività, supportata dagli studi di scenografia che la spingono a creare set elaborati e sorprendenti, definiscono lo stile unico di questa icona della fotografia italiana. Lo sguardo sempre attento alla contemporaneità, all’attualità e ai cambiamenti sociali in atto, Maria Vittoria Backhaus cambia le regole della fotografia di moda, still life e design, interessandosi prima che all’oggetto da ritrarre a ciò che un’immagine può raccontare allo spettatore.
Alle tantissime foto scattate su commissione si aggiungono molti lavori su progetti personali che attualmente sono al centro della sua attività insieme alla conservazione del suo archivio.
Nel 2021 ha ricevuto il premio alla carriera Arturo Ghergo e nello stesso anno ha trasferito la sua casa e il suo studio in Piemonte. Le sue fotografie sono state pubblicate sulle più importanti riviste quali Vogue, L’Uomo Vogue, Casa Vogue, Case da Abitare, Abitare, Io Donna; ha scattato campagne per marchi internazionali della moda e del design, in primis la collaborazione ventennale con Flexform.

Mariagrazia Beruffi vive fra Brescia, città natale, e Trieste, dove ha insegnato lingue straniere. Dopo un percorso di studi grafici si è avvicinata alla fotografia che, anche grazie ad uno studio approfondito degli autori classici e contemporanei, si è tramutata in passione ed esperienza di vita. La sua è una fotografia fatta di incontri casuali che si tramutano spesso in una condivisione di sogni, sentimenti ed emozioni. Parte sempre dalla realtà, ma il suo linguaggio tende a superare l’aspetto documentaristico a favore di un espressionismo molto personale e di forte impatto.

Giusy Calia nasce a Nuoro nel 1971. Laureata in lettere e in filosofia è dottore di ricerca in letterature comparate presso l’Università degli studi di Siena. Cultore della Materia in Filosofia Estetica presso la Facoltà di Lettere e Filosofia di Sassari, con cui collabora, ha conseguito un Master in Fotografia professionale e partecipato ad un corso intensivo presso la New York Academy. Specializzata in ipnosi, sta ultimando i suoi studi in psicologia clinica, con una tesi sulle immagini che curano.
Ha esposto sia in Italia che all’estero. Le sue opere si trovano in collezioni pubbliche e private.

Silvia Camporesi (1973), laureata in filosofia, attraverso i linguaggi della fotografia e del video costruisce racconti che traggono spunto dal mito, dalla letteratura, dalle religioni e dalla vita reale. Negli ultimi anni la sua ricerca è dedicata al paesaggio italiano. Dal 2004 ha tenuto numerose personali in Italia, tra le quali: Dance dance dance (MAR di Ravenna, 2007); Planasia (Festival di Fotografia Europea di Reggio Emilia, 2014); Genius Loci (MAC di Lissone, 2017). Tra le personali tenute all’estero si ricordano: À perte de vue (Chambre Blanche, Quebec, 2011); 2112 (Saint James Cavalier, Valletta, 2013); Atlas Italiae (Abbaye de Neumünster, Lussemburgo, 2015); Art Musing, Mumbai, 2017; Desfours Palace, Praga, 2018). Fra le collettive ha partecipato a: Italian camera (Isola di San Servolo, Venezia, 2005); Con gli occhi, con la testa, col cuore (MART di Rovereto, 2012); Italia inside out (Palazzo della Ragione, Milano, 2015); Extraordinary visions (MAXXI, Roma, 2016; Kolkata Centre, Calcutta, 2019); The Quest for Happines (Serlachius Museum, Mänttä, Finlandia, 2019-2020); Italia in-attesa. Dodici racconti fotografici (Palazzo Barberini, Roma, 2021); Fuori tutto (MAXXI, Roma, 2023). Nel 2007 ha vinto il Premio Celeste per la fotografia; nel 2008 è fra i finalisti del Talent Prize e nel 2010 del Premio Terna. Ha vinto il premio Francesco Fabbri per la fotografia nel 2013, il premio Rotary di Artefiera 2015, il Premio BNL 2016, il Premio Cantica21 nel 2021, Soroptimist Donne al lavoro nel 2021 e La nuova Scelta italiana nel 2022. Ha realizzato diverse committente pubbliche, come Italia in attesa (DGCC 2020), Atlante Sapienza (MAXXI 2022), Altri sguardi (Direzione Generale Musei, 2022). Ha pubblicato dieci libri, affianca l’attività artistica all’insegnamento. Sue opere sono presenti in collezioni pubbliche e private, tra le quali: MAXXI, Roma; Collezione Farnesina, Roma; MART, Rovereto; MAC Lissone, Gruppo BNL, Milano; GNAM, Roma.

Antonella Chemollo è nata a Treviso nel 1963 e vive a Venezia.
Studia architettura presso l’Istituto Universitario di Architettura di Venezia (IUAV) e durante il corso di studi inizia a lavorare come fotografa professionista. Si laurea nel 1995 con una tesi in cui analizza il rapporto tra architettura e fotografia nel mondo contemporaneo.
Dopo una lunga collaborazione con Manfredo Tafuri su temi di architettura storica, realizza diverse serie fotografiche per riviste e lavori monografici di architettura.
Ha esposto a Vicenza (Basilica Palladiana, Siza, 1999) e Venezia (Fondaziones Querini Stampalia, Fotografie della Querini alla Querini, 2002; Galleria Internazionale di Arte Moderna di Ca’ Pesaro, Versione Ridotta, 2004). Dal 1992 collabora con Fulvio Orsenigo (studio ORCH) con il quale ha realizzato le mostre In isola (Venezia, Torre di Sant’Erasmo, 2004) e Senza Posa (Venezia, Museo Fortuny, 2004).
È docente di fotografia allo IUAV.

Caterina Matricardi è nata a Brescia dove vive e lavora. Dopo il diploma del Liceo Artistico “Foppa”, si è specializzata
nel campo della grafica pubblicitaria, avendo tra i docenti, Bruno Munari, alla Scuola Politecnica di Design a Milano.
Alla fine degli studi ha lavorato in diversi campi come grafico pubblicitario, da un architetto e presso una casa editrice e ha insegnato arte e immagine all’Istituto “Arici” a Brescia.
Dai primi anni 90 ha iniziato a partecipare a mostre collettive, personali come l’ultima fatta nel 2021 e una collettiva fotografica sempre al Macof nel 2024 a Brescia e a concorsi fotografici vincendo un primo premio nel 1997 a Varese e un altro a Bresciaonline e inoltre un primo premio del vetro a Murano nel 2012.

Antonella Monzoni vive a Modena. Pratica una fotografia di reportage profondamente umanista con una spiccata cifra intimista tesa all’assimilazione culturale del ricordo. Così in Madame (Premio Giacomelli 2007 e Selezione PhotoEspana-Descubrimientos 2008), in Somewhere in Russia (Premio Chatwin per la fotografia 2007) e in Silent Beauty (Menzione d’onore IPA 2008).
 Nel 2009 con Ferita Armena riceve la Menzione speciale Amnesty International Festival dei Diritti, è finalista al Premio Ponchielli e viene selezionata al festival internazionale di fotografia documentaria Visa pour l’Image, Perpignan.
 Sempre nel 2009 vince il Best Photographer Award al Photovernissage di San Pietroburgo e nel 2010 viene proclamata Autore dell’Anno FIAF.
 Dal 2011 fa parte del Collettivo Synap(see). Nel 2012 riceve il primo premio VIPA, Vienna International Photo Award.
 Nel 2015 le viene riconosciuto il Premio Internazionale di Fotografia Scanno dei Fotografi. Nel 2016 il libro Ferita Armena vince il Premio Bastianelli come miglior libro fotografico pubblicato in Italia.
Nel 2018 entra nell’Associazione Donne Fotografe-Italian Women Association e nello stesso anno FIAF le conferisce l’Onorificenza di Maestro della Fotografia Italiana MFI.
Nel 2020 vince la Call for Entry del Praga Photo Festival.
Ha creato diversi Progetti fotografici collettivi, tra cui FUTURA, storie di donne e Le Anime del Bosco, dedicato al bosco del Monte Pisano ferito dall’incendio del 2018. Ha pubblicato diversi libri fotografici e dummy book. Ha esposto in mostre personali e collettive, in Italia e all’estero. È vicedirettore editoriale della rivista di cultura fotografica Gente di Fotografia.

Luisa Menazzi Moretti è nata a Udine, 1964, all’età di tredici anni lascia l’Italia per trasferirsi con parte della sua famiglia in Texas, dove frequenta le scuole e l’università. In quegli anni segue corsi di fotografia prediligendo lo sviluppo e la stampa in bianco e nero. Ritorna a vivere in Europa, si laurea in Lingue e Letterature Straniere Moderne all’Università degli Studi di Udine, lavora a Londra per poi trasferirsi in Italia dove ha vissuto a Bologna, Roma, Venezia e Napoli. In anni recenti ha trasformato la sua passione per la fotografia conferendole progettualità e dedicandosi all’attività espositiva ed editoriale. Tra le mostre si segnalano Dieci anni e ottantasette giorni, un lavoro sulla vita dei carcerati nel braccio della morte in Texas presentato alla Robert F. Kennedy International House of Human Rights a Firenze (2024), al Ma.Co.F – Centro della fotografia italiana a Brescia (2023), al Museo Santa Maria della Scala di Siena (2017) all’European Month of Photography (EMOP) di Berlino (2016); Io sono, un progetto sui rifugiati, ospitato al MUDEC di Milano (2021), al Palazzo delle Arti di Napoli (PAN), al Museo Nazionale di Palazzo Lanfranchi a Matera e al Museo Archeologico di Potenza (2018); Solo, ospitato al MATA nell’ambito del Festival della Filosofia di Modena (2019); Somewhere, Villa Manin, Udine (2016); Tre Oci tre mostre, Fondazione Tre Oci, Venezia (2015); Words, Forum Universale delle Culture, Napoli (2015), Galleria Civica Tina Modotti, Udine, Museo d’Arte Moderna e Contemporanea, Pordenone (2014); Cose di natura, un progetto per la Galleria d’Arte Moderna di Genova (2014). Suoi libri sono stati pubblicati da Artem, (Far Fading West, 2023), Giunti Editore (Io sono/I Am, 2017), Contrasto (Ten Years and Eighty Seven Days, 2016), Gente di Fotografia (Somewhere, 2016) e ancora Artem (Cose di natura / Nature’s Matters, 2014 e Words, 2013). Tre progetti dell’autrice, Dieci anni e ottantasette giorni, Io sono e Casa mia – un video dedicato ai bambini dei Quartieri Spagnoli di Napoli dove l’artista vive parte dell’anno – sono stati premiati con quattro menzioni d’onore dall’International Photography Awards di New York.

Ramona Zordini è una fotografa/artista visuale che vive a Brescia. La sua e una fotografia delicata ed onirica, a tratti sfacciata ed incalzante. I suoi lavori sono stati esposti in spazi come il Museo Santa Giulia di Brescia, il Museo agli Eremitani di Padova, il Museo MACS di Catania e tanti altri. Il suo progetto è stato pubblicato su magazine come Hi fructose Magazine, Uno kudo, ZOOM Magazine e altri, ha inoltre prestato il proprio lavoro per copertine di libri e locandine di film. Ha vinto il premio Julia Margaret Cameron 2024 categoria Alternative Process ed ha ricevuto una menzione d’onore nella categoria Ritratto al Chromatic Awards 2024.
La sua ricerca artistica nasce dal mezzo fotografico imponendo fin da subito la necessità di eliminare le delimitazioni spaziali e mentali di opera fotografica quadrata e bidimensionale. Lavora principalmente sul concetto di mutamento, di trasformazione psico-fisica, attratta più dal divenire scandito e modificato dal tempo che dal processo compiuto, spesso attrice del suo stesso lavoro, si serve dell’arte per esplorare le proprie scatole chiuse e scoperchiarle.
Negli ultimi anni, cercando di soverchiare le delimitazioni spaziali ha unito la fotografia del corpo al cucito, all’incisione, al disegno e ad altre tecniche.
“Vorrei l’impermeabilità delle cose per toccare ogni sensazione senza che filtri occasionalmente il mio essere e mi stordisca, lasciandomi implosa a riempire una scatola di rievocazioni decomposte e reinventate a mia immagine e somiglianza. Ambiguo il termine, ambiguo il luogo, il gesto, il pensiero, i tuoi occhi persi dentro un lui senza entrata, è un eterno momento di transizione, nulla è come ieri, il filtro è da pulire.”